Coronavirus, la soluzione finale ad un trentennio di problemi irrisolti

Uno spettro si aggira per l’Europa deciso a far piazza pulita e rimettere le cose a posto, non guarda in faccia a nessuno. Globalizzazione, lavoro, immigrazione, autonomia, sembra deciso ad innescare la soluzione finale per tutti quanti quei problemi che negli ultimi trent’ anni ci hanno spiegato essere ineluttabili od irrisolvibili. Ad esempio, ci hanno convinti che i confini sono un retaggio di paure ancestrali e che nel mondo globalizzato non hanno più ragion d’essere. Ebbene, il coronavirus si sta dimostrando uno di quei mali che non vengono solamente a nuocere anzi, ci ha aperto gli occhi sulle realtà che davamo per scontate e sembra rivelarsi un alleato formidabile da trattare con ogni riguardo. Infatti, ha messo innanzitutto in luce le falle di un sistema economico mondializzato che ha trasferito le produzioni di beni essenziali in paesi lontani e Stati autoritari sui quali è impensabile riporre fiducia ed ai quali è pericoloso delegare la sicurezza del vecchio mondo avanzato. Trump prima di altri l’aveva compreso ed è stato oggetto a lungo di dileggio. Il coronavirus dunque ha messo a nudo la follia della finanza apolide ossessionata dalla ricerca di massimizzare i profitti. I confini sono necessari a salvaguardia dei capitali, delle merci, della qualità del futuro stesso dei popoli perché se è vero che quelli umani sono diritti, è altrettanto vero che questi investono tutte le genti comprese quelle europee tra cui quelle italiane piegate dalla fuga dei capitali; dalla delocalizzazione delle produzioni; dalla regressione dei diritti indotta dall’offerta di manodopera a basso costo sul mercato dell’accoglienza indiscriminata. Al momento, tra le parti sociali, solamente il piccolo sindacato della UGL sembra aver maturato la coscienza critica di trarre i giusti vantaggi dalle cure dell’infezioni polmonari da coronavirus favorendo il rientro in Patria del lavoro italiano perduto nell’ultimo trentennio a seguito degli investitori che hanno creduto di fare migliori fortune in altri continenti e che un piccolo, invisibile virus, ha gettato letteralmente in disgrazia. Ciascuno padrone a casa propria, il coronavirus ci restituisce intatto il vecchio mondo con tutti i suoi valori di progresso che è stato capace di regalarci in due millenni di storia economica e sociale. I sintomi del coronavirus che iniziano ad accusare anche Francia e Germania, potrebbero star lì a preparare inoltre il rovescio della UE tecnocratica, travolta dalle necessità dei popoli che la compongono e di cui da lungotempo ignora i bisogni per ridursi a sostegno e promozione del dominio di fatto dei giganti multinazionali che raccolgono solo vantaggi dalla cancellazione dei confini e poco o nulla restituiscono in termini di sicurezza, sviluppo, emancipazione delle classi che un tempo chiamavamo lavoratrici anzi, ogni nuovo investimento porta con sé l’erosione di diritti e conquiste sociali che sono costate fatica e lotta a molte delle generazioni che ci hanno preceduti. Il coronavirus ne ha avute anche per gli autonomisti di casa nostra. Ha avuto il merito di chiarire, una volta e per tutte, che alcune competenze devono restare in capo allo Stato centrale con buona pace del mai dimenticato Bossi e dei suoi figliocci contemporanei, con in testa i Presidenti di Regione Zaia, Fontana prima ancora che di Fedriga: sanità; trasporti; energia; infrastrutture per farsi trovare pronte e preparate alle emergenze, abbisognano di una direzione unitaria efficace. Anche qui, il lavoro del piccolo, maledetto virus animale traslocato nell’uomo per abitudini e costumi estranei al mondo avanzato, ha svolto un lavoro ineguagliabile pari a quello di un referendum Costituzionale.

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