per la bella Incoronata, il feto vale più di un albero

Provate in Italia a spostare degli alberi per costruirci una scuola e finirete per ritrovarvi il cantiere assalito da decine di scalmati trincerati in difesa degli alberi. E’ accaduto di recente a Bologna, ma i casi sono innumerevoli in tutta Italia. La mobilitazione per gli alberi come per gli orsi assassini non conosce riserva od eccezione. Strappare il feto dal grembo invece, nella nostra società signorile di massa come la definisce Luca Ricolfi, o più semplicemente in questa società in cui le masse si sono imborghesite ed i costumi semplici di quella che fu la grande proletaria hanno finito per patire una metamorfosi tale da farci ritrovare in quel mondo al contrario che popola i cortei di protesta ed assale le Forze dell’ordine, irritati evidentemente dalla disillusione. Marx è nudo, di fronte alla corruzione del proletariato che il capitalismo della libera iniziativa diffusa ha trasformato in borghesi piccoli, piccoli catturati dalla vita comoda quando non agiata; in cui i bisogni primari sono un pallido ricordo mentre l’alienazione del carpe diem dalla fatica del vivere è divenuta la nuova frontiera irresponsabile che non si cura del diritto naturale che ci richiama all’impegno e sceglie di rinviare doveri ed obblighi di coscienza all’esercizio delle comunità “primitive” che ci siamo garantite in dote favorendo l’immigrazione e cullandoci del modello multiculturale nel quale pensiamo di poter conservare gli spazi per vizi e virtù consolidate mentre gli altri resteranno a guardare tolleranti, si pensa, anche quando inevitabilmente saranno maggioranza sociale. E ce lo saremo meritati. Tutti.

In questo quadro di misera pochezza in cui ci siamo ridotti a vivere, le parole forse ingenue, sicuramente sincere e spontanee pronunciate in diretta da Incoronata Boccia, bellissima vice direttore del Tg1, mamma, moglie e giornalista probabilmente incoraggiata dal cambiamento climatico che si registra in Rai, hanno fatto scadalo ed indispettito non solamente le colleghe in studio visibilmente turbate in volto, ma sollevata la canea di proteste al femminile. Togliere ogni filtro, pronunciare in video parole di verità obiettive costrette per decenni nel fondo delle coscienze da costruzioni manipolative della realtà a voler sostenere disperatamente il vuoto egoistico di una civiltà che ama definirsi di progresso avanzata nel mentre la scorgiamo preda della indifferenza; riluttante ai dolori del nascere, tanto meraviglioso coraggio ha sì sconcertato da indurre a trascendere alla menzogna spudorata ed ingiustificabile. Perché ci si chiede, attaccare con tanto vigore e partecipazione l’espianto di un albero al quale assegnare un altro posto nel mondo ed invece incarognirsi nell’espiantare una pianticella che sta per sbocciare al mondo e magari trovare un’altra mamma ed un altro papà ben disposti ad annaffiarla e concimarla perché cresca rigogliosa alla luce del sole?

Anche a voler scendere sul piano scientifico o presunto tale, se per un verso difendiamo la realtà puramente biologica dell’albero, con quali argomenti sostanziali ci indignamo se qualcuno muove in difesa della realtà biologica” del feto ammesso che non avrebbe ancora connessioni relazionali con l’esterno ed è comunque da dimostrare visto che è fisicamente connesso con un essere vivente dal cordone ombelicale per tacere delle connessioni al suo “case” altrimenti utero?

La libertà ha un costo. Quello che devono pagare le donne le leggi della antropologia, lo esigono in vite da far venire alla luce. Non ci potete fare nulla bellezze. Al sollazzo, segue la fatica. Al dolore, la gioia.

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