Se la politica s’impradonisce del recovery fund, con CDP nel ruolo che fu della IRI, Giavazzi prevede che sarà l’ultima delle tante occasioni sprecate per lo sviluppo dell’Italia. Più Stato o più mercato per far ripartire la crescita? Annoso dilemma. Lo Stato azionista non è una soluzione idonea per il liberista classico, perché il padrone pubblico punta naturalmente alla rendita di posizione, garanzia di facile consenso diversamente dall’investitore privato, che rischia in proprio e pur di conquistare nuove fette di mercato è obbligato ad innovare. Riconosce però che in Italia, come in Francia, vi sono alcune eccezioni nelle quali lo Stato imprenditore è riuscito a mantenere separate la politica dalle finalità dell’ impresa, come ad esempio Enel ai cui amministratori, pur nominati dal Tesoro, è stata opportunamente concessa autonomia operativa ed indipendenza di valutazione tanto da fare dell’impresa pubblica un competitore dell’energia su scala mondiale. Eccezioni per l’appunto. Di regola, osserva il liberista, l’impresa pubblica fallisce i suoi scopi, vedi Alitalia, nella quale lo Stato ha investito tanto ed ottenuto nulla sia in termini di profitto, sia di servizi. Anche l’impresa privata, però ha miseramente fallito quando si è cimentata con le concessioni pubbliche e l’industria strategica, vedi Autostrade ed Ilva, casi emblematici nei quali l’ingordigia del privato ha prevalso irrimediabilmente sulla sicurezza e l’incolumità della comunità nazionale. Quindi, s’è vero che il capitalismo è distruzione e rinascita di ricchezza, è anche vero che sottrarre la materia umana dai costi, non genera profitto, piuttosto stragi e morte sicura. C’è poi un altro fattore che non va trascurato nell’affidamento delle risorse del recovery plan e l’esperienza che fu propria della IRI ci soccorre. Gli investimenti dovranno essere redditizi e rilanciare l’economia, oppure una quota significativa di queste risorse dovrà essere impiegata per recuperare allo sviluppo ed alla produttività aree emarginate della penisola? Se a Giavazzi non fosse sufficientemente chiaro, gli rendiamo noto che il nostro meridione, sciolta l’IRI e svenduti i suoi marchi sul mercato globale, è rimasto letteralmente desertificato. Alla sua gioventù, autentico patrimonio nazionale, non è stata offerta più alcuna occasione di riscatto e di futuro. Si è pensato che anche le sue intelligenze ed abilità, potessero essere ragionevolmente mortificate dall’emigrazione qualora non avessero accettato l’impiego nei servizi turistici. Oggi la pandemia ci ha insegnati che non c’è libertà d’impresa se una parte della nazione è trascurata dal capitale che sia pubblico, che sia privato. I soli servizi non reggono una economia. Di soli servizi non vive una nazione. Dobbiamo ricrederci nostro malgrado e rivalutare la lungimiranza di quella classe politica di mariuoli che si finanziava a mazzette e che però seppe industrializzare ed infrastrutturare il nostro meridione. Il leviatano, non il capitale di rischio, fecero dell’Italia la quinta potenza economica mondiale. Abbiamo la Cina in casa a dimostrazione che anche il capitale pubblico se impiegato col necessario rigore, genera crescita e sviluppo al tempo della globalizzazione dei mercati. Se aspettiamo il privato, se aspettiamo le multinazionali, campa cavallo che l’erba cresce. Quante whirpool dovranno avvicendarsi, sfruttare i vantaggi ed andare via per comprendere ch’è necessario riprendere tra le mani il proprio destino economico?
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