Vittima del familismo, sottocultura tutta italiana, il trota si è affacciato alla vita sociale e politica impreparato, segno evidente di un modello educativo fallimentare impartito dai genitori. Colpa ancor più grave se consideriamo che la mamma si dice pedagoga e per questo, oltre alla pensione baby ricevere un finanziamento per la sua scuola privata di 800mila euro dal Ministero dell’istruzione. Lo stesso Ministero che in tre anni ha praticato tagli in un settore nevralgico quale quello dell’istruzione e della ricerca, per 8miliardi di euro. Che cosa sia diventata l’Italia ed in quale stato di alterazione confusionale siano caduti gli italiani incapaci di compiere scelte in linea con la grandezza dei propri avi e lo splendore della propria cultura, quest’ennesimo caso lo rende benissimo. Abbiamo una parte del paese che per decenni si è votata alla mafia ed un’altra parte, pur florida e ricca, che ha dato credito ad un fallito in cerca di fortune ed ha affidato ad un incolto, rozzo trombone con evidenti limiti, il compito di disegnare un nuovo avvenire. Una riflessione collettiva nel dibattito pubblico s’impone! Le dinamiche del consenso tra gl’italiani hanno un respiro corto ed elementare, certamente non in sintonia con quello che dovrebbe essere un paese avanzato del mondo sviluppato. Un compito che gl’ “intellettuali” dovrebbero assumere sarebbe quello d’indagare le ragioni profonde ed indicarci motivi e modi per ritrovare il senno perduto piuttosto che vendere la propria penna e mettersi ad inseguire il successo contingente. Bossi ha avuto un popolo ma ha avuto anche una intellighentia che si è industriata in mille modi per teorizzare, sistemare storicamente un fenomeno che altro non era se non l’espressione peggiore dell’egoismo campanilistico incapace di uscire dagli orizzonti circoscritti e darsi una dimensione che comprenda la contemporaneità. Possiamo piantare ancora speranze però e nutrirci di quella fiducia che ci risveglia l’antico. Se qualcuno pensava che l’Italia non fosse una NAZIONE, leggerà in questa offerta che siamo sicuri sincera e non provocatoria, motivi sufficienti per ricredersi. Senza odi o rivalse, comprensivi per le intemperanze di un giovane immaturo cresciuto nella proizione immaginaria di un mito costruito tra fiere ed osterie, quando il banco della Bosina sta per essere sostituito col banco degli imputati, la Serafina Ferrara ha preso in mano carta e penna per scrivere una lettera a Renzo Bossi. L’offerta è di quelle appetibili che un giovane senza curriculum dovrebbe affarrare al volo per cominciare a costruirsi una vita nuova e diventare uomo: un lavoro in campagna ed una casa nel Cilento per “godere degli agi dell’indipendenza e del calore umano della gente semplice del paese”, si legge nella lettera. La saggezza contadina, l’educazione della fatica, la distanza dai tentacoli della vita in città salverebbero Renzo e ci restituirebbero un buon ITALIANO se accettasse.
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