Quando non s’investe non si cresce e l’Italia da venti anni non cresce. Immaginare le privatizzazioni senza accompagnarle con investimenti strategici, senza sapere che cosa vogliamo fare, è un approccio puramente ideologico e sappiamo come va a finire basti pensare a Telecom. In Francia dove lo Stato ha investito in innovazione è un’azienda efficiente, in Italia dopo il fallimento del capitale “nostrano” è finita nelle mani degli spagnoli le cui blande assicurazioni non lasciano di certo sperare in un futuro radioso. Il problema dunque per Mariana Mazzucato non è tanto la scelta tra il modello economico pubblico ed il modello privato, ma che tipo di pubblico vogliamo e che tipo di privato vogliamo. Per l’economista italiana con passaporto americano titolare della cattedra di economia dell’innovazione presso l’Università del Sussex (UK), il problema non è il debito pubblico in quanto tale, ma pensare come far crescere il PIL e questo non è una questione che si risolve con la demonizzazione della spesa anzi, la spesa in educazione e ricerca incrementa il PIL così come gl’investimenti in stato sociale riducono sensibilmente la spesa per la sicurezza. Una teoria controcorrente quella della Mazzucato di tendenze laburiste, ma ascoltata dai conservatori inglesi: la mano visibile dello Stato crea le condizioni necessarie all’innovazione tecnologica e smuove dal torpore e dall’inerzia l’iniziativa privata. Senza gli investimenti statali nella Silicon Valey, il genio di Steave Jobs avrebbe prodotto verosimilmente solo video games. In Italia come nel resto della UE, l’aver pensato che l’impresa andava liberata dalla mano pubblica ha allontanato i migliori cervelli; grandi infatti sono le difficoltà che si riscontrano nell’attrarre talenti ed eccellenze. La eco del successo in America come in Europa alle tesi della Mazzucato, induce a pensare che sia cominciata la resa dei conti tra Stato e mercato che ha dominato l’ultimo trentennio. S’avverte un ritorno prossimo sullo scena economica dello Stato, un ricorso a soluzioni dall’antico sapore protezionistico e neocorporativo che finiranno con ogni probabilità per segnare limiti precisi alla globalizzazione dopo i disastri procurati dalla finanza apolide. Una strada che fu intrapresa con risultati apprezzati in Italia nel primo dopoguerra…
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