La DG reform, la nuova Direzione Generale per le riforme istituita dalla Commissione Europea di Ursula Von der Leyen per aiutare gli Stati membri ad attuare le riforme auspicate dal programma di ripresa economica meglio noto come “recovery fund”, è stata mutuata dal modello della “task force” tecnica che nel corso della crisi finanziaria del 2013, pianificò e curò l’attuazione delle riforme lacrime e sangue di Grecia e Cipro. Ricordate? Feroci tagli alle pensioni, alle retribuzioni, al sistema sanitario; licenziamenti nel pubblico impiego; svendita del patrimonio Statale acquisito in gran parte dalla Cina (porti) e dalla Germania (aereoporti). Ecco, la conferma delle competenze che fanno capo alla “DG reform”, ci viene direttamente dal direttore Mario Nava, milanese, economista, una vita trascorsa nei “bureaux” brussellesi: senza riforme, non arriverà un solo euro! Gli aiuti saranno una tantum. Dispiace mandare deluse le tante aspettative di quanti hanno pensato che l’Europa avesse riformate le sue regole di bilancio, il recovery fund non entrerà negli strumenti di finanza ordinaria della Unione. Gli italiani sono dunque avvisati. Per la ripresa post covid, l’Europa ha già pronto il suo armamentario fiscale che la politica euroinomane sottace quando finge addirittura di non sapere. Quei prestiti che graveranno sul futuro delle prossime generazioni, a noi che li prenderemo, spezzeranno le reni come è stato per i greci e per i ciprioti che ancora ricordano le file ai bancomat vuoti, sbloccati dalla BCE solamente a distanza di settimane, con prelievi quietanzati. Riservati a coloro ai quali era rimasto qualcosa in deposito sul conto dopo i prelievi forzosi operati per ripianare i debiti. Esperienza che in particolare i ciprioti faticano, ancora a distanza di tempo, a digerire, al punto che si sono messi a vendere cittadinanze pel mondo pur di attrarre liquidità dopo lo svuotamento delle loro banche. L’Italia è stata aiutata non perché sia stata abile a trattare con l’Europa a suo vantaggio come lascia credere Conte, ci spiega un’altra europeista di ferro, Veronica De Romanis, ma perché la sua è una economia molto fragile che se fosse lasciata fallire, rischierebbe di compromettere anche le altre economie della Unione. Se però Bruxelles non vedrà implementate le riforme di fisco, lavoro, Pubblica Amministrazione, Giustizia e non vedrà raggiunti qualitativamente e quantitativamente gli obiettivi fissati dalle riforme stesse, l’intero piano di aiuti svanirà nel nulla di fatto. I soldi dell’Europa non sono regali, ma catene, ribatte il prof. Sapelli. Perché si faccia l’Europa, bisogna che siano gli Stati a rifiorire e per stare insieme bisogna che si diano una Costituzione. Non è possibile che l’integrazione europea sia regolata da Trattati che affidano il potere decisionale ad entità sovranazionali e non rispondono al popolo mentre dall’altro versante del nostro occidente, negli USA, spadroneggia la finanza apolide. Accertato dunque che non sarà possibile proseguire a colpi di scostamenti di bilancio, per non incorrere in una nuova crisi del debito che è aumentato di ulteriori 150 miliardi, sarà bene trovare per la ripresa soluzioni alternative. Dal “recovery fund”, prendere i miliardi a fondo perduto e finanziare la crescita con risorse nazionali, non a debito. Una vecchia volpe democristiana, di scuola andreottiana come Continua a leggere
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