Mi butto in politica

20mila candidature, 629 partiti in competizione nei comuni capoluoghi nonostante i seggi disponibili a queste ultime amministrative siano stati tagliati. Ci si butta in politica come per procacciarsi un’occasione, una sistemazione garantita e molto ben remunerata anche se si è esperti del nulla. La politica non come servizio disinteressato reso alla propria comunità motivati e sostenuti da forti idealità, da competenze e capacità rese alla collettività anche per vedere gratificato il proprio prestigio sociale ma come carriera da svolgere tutta la vita imparando a barcamenarsi tra intrighi e baratti; disponibilità a modulare idee e convincimenti in ragione delle contingenze svendendo molto spesso ogni residuo di pudore e dignità per ritrovarsi tra i “responsabili”. Ma è ancora possibile affidare il destino comune ad una classe non selezionata che impara presto a vivere nel facile agio senza mai rispondere del proprio operato e dei risultati promessi che non si realizzano? Sono questi i costi che dobbiamo pagare per vivere in democrazia oppure dobbiamo cominciare a pensare che vivere in libertà non può significare necessariamente mantenere una casta di parassiti cui di recente si è aggiunta una nutrita folla di svampite e che si possa in qualche modo intervenire per richiedere dei requisiti minimi di candidabilità che non siano sottratti alla onorabilità di quanti pretendono di agire in nome e per conto nostro?

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