Non è tutta grandeur quella di Macron, è la deglobalizzazione che impone anche per l’Italia un De Gaulle

Non è tutta grandeur quello che luccica della Francia di Macron. Già per l’Europa di Mitterand, l’Italia era la vittima predestinata del primato francese. Nulla di nuovo quindi viene d’oltralpe con la nazionalizzazione pretestuosa dei cantieri navali di Saint Nazaire ad impedirne, incredibile a scriverlo, l’acquisto dai coreani da parte della italiana Fincantieri. I francesi, che francesi lo sono da sempre, letteralmente impazziscono al solo pensiero di dover prendere disposizione dagli italiani. Siamo rimasti infatti gli unici in Europa e nel mondo a credere alla favola dei “giochi senza frontiere”. Da decenni sono in tanti a raggirarci e ne meniamo anche vanto. Abbiamo rinunciato ad esercitare la pur minima forma di sovranità e spalancato le porte anzi, abbiamo rimosso completamente gli infissi dello Stato, convinti di farci belli ed attrattivi e poter sopravvivere sotto padrone. Abbiamo accolto con benevolenza la finanza araba nelle nostre banche, aziende ed in CDP; curiamo e rifocilliamo gratis la disperazione proveniente da ogni angolo della terra; abbiamo ceduto nel corso degli anni ai francesi BNL, Unicredit, Generali, Parmalat, i grandi marchi della moda e per completare l’opera di demolizione nazionale, la nostra rete fisica di telecomunicazioni costruita con il lavoro e le tasse di tutti gli italiani, proprio il giorno in cui Macron c’ha sfilato dal piatto fattosi povero nel frattempo per i troppi azzardi di mercato, anche i cantieri navali. Francia, Germania, Spagna ed Austria stanno preparando a “nostra insaputa” la tumulazione definitiva della penisola in autunno, per mano africana, con la revisione dei Trattati di Schengen ed il ripristino dei controlli alle frontiere e noi, continuiamo a credere che non si possa rispondere ad una fesseria con un altra fesseria senza capire che quello in atto è un processo di deglobalizzazione di cui la rinascita protezionista in America con Trump come in Europa con Macron e Melechon dopo la brexit di May e Corbin, è semplicemente il prodotto, non la causa. Tutti hanno imparato la lezione delle porte aperte e rinserrano i ranghi per non sparire tranne noi italiani, in declino inesorabile, privati di un’adeguata protezione vaccinale dai virus progressisti del mondialismo ricorrente nella nostra storia. Nemmeno più ci stupiamo ed impotenti ci lasciamo disarmare dal presunto diritto internazionale scritto da chi ha interessi confliggenti i nostri. Pensiamo di riuscire ad essere ascoltati esercitando un ruolo persuasivo da comprimari che puntualmente però viene scalzato via quando in palio entrano gli interessi vitali di quelli che dovrebbero essere i nostri primi e migliori alleati. Per restare in Francia, un’opera di ricostruzione morale e materiale simile a quella che negli anni ’50 mise in sicurezza la Republique si può e si deve immaginare anche per l’Italia con l’avvento al Governo di una riserva le cui origini siano quanto il più lontano possibile tanto dalla discreditata politica, quanto dalla famelica finanza. Un uomo di scuola in congedo, che abbia saputo farsi apprezzare all’estero e che, come spesso accade nella democrazia americana, metta la sua formazione, la sua cultura ed esperienza a disposizione della politica per ripristinare i fondamentali dello Stato. Se oramai è divenuto chiaro anche ad uno come Prodi che l’Italia non può reggere ancora a lungo nel ruolo di crocerossinaallora vorrà dire ch’è venuto il tempo sull’esempio francese, anche per l’opinione pubblica italiana di superare ogni pregiudizio e ogni pregiudiziale di sorta nell’affrontare la crisi di sistema con strumenti adeguati alla difesa degli interessi vitali sia in campo economico, sia in campo industriale, sia in campo squisitamente politico e Statuale.

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