Dalla Corte Costituzionale, nulla osta la guerra all’Isis

Drappo nazIsisTeniamo a chiarire che non nutriamo simpatie per i dinosauri della cosiddetta Prima Repubblica, quelli che ancora ricoprono ruoli preminenti ed intascano pensioni e stipendi per aver saputo navigare con arguzia i mari del partitismo. Una premessa doverosa questa, perché dalla lettura delle righe che seguono i nostri amici non siano indotti a pensare che siamo caduti in contraddizione con tutto quanto fin qui abbiamo scritto. Che cosa allora ci interessa evidenziare? Soprattutto un concetto: si può ripudiare la guerra e prendere le armi per difendersi da minacce anche in via preventiva se l’analisi delle strategie poste in essere sul campo da Stati e/o organizzazioni terroristiche, rivelano un reale, preciso ed addirittura dichiarato disegno di conquista. E’ il caso dell’Isis, sedicente Stato Islamico, lasciato avanzare indisturbato in medio oriente ed in Africa nonostante continui a perpetrare efferati delitti, sistematiche pulizie etniche, assurde distruzioni della memoria storica, riduzioni in schiavitù e violenze di ogni genere sulle libertà femminili. Aspettiamo che arrivi in pianura Padana prima di organizzare una risposta adeguata? Nulla osta la guerra all’Isis, è una guerra difensiva che rientra perfettamente nel perimetro del dettato Costituzionale riflette Giuliano AmatoGiudice Costituzionale scelto per opportunità politiche forse, sicuramente però con competenze innegabili riconosciute in ordine al diritto. Il male dev’essere fermato, prosegue, l’astrazione del pacifismo arrendevole non comprende che “la storia umana è sovente più crudele di quello che vorremmo e che la risorsa militare purtroppo in certi casi è ancora necessaria”. I valori dell’occidente nei quali tutti a parole diciamo di credere, se non vengono promossi attivamente finiscono in secondo piano rimossi, quando non negati del tutto, da una presunta tolleranza ideale che immagina il campo sociale come un terreno neutrale, una terra di nessuno dove le differenze si guardano, ma non si toccano, quasi che in natura possano esistere pollai senza galli. “Noi e loro. Abbiamo disimparato a chiamare le cose con il loro nome e ci siamo abituati a consolare le nostre coscienze utilizzando terminologie vaghe, vellutate, soffici, che non tengono conto di quello che sta succedendo”, osserva Amato. Come nell’approccio all’immigrazione, ci ostiniamo a non vedere che il processo di apertura dei nostri cuori non può essere applicato con la medesima leggerezza ai confini territoriali perché ciò può realisticamente esporci a pressioni di culture intransigenti e magari trascorsi cent’anni, l’Europa potrebbe scoprire in Orban il suo primo patriota. La pretesa multiculturale di incoraggiare vite separate in una stessa società, dove frange sempre più numerose complice il nostro colpevole imborghesimento, rischiano a breve di diventare maggioritarie senza aver fatte propri i valori delle libertà personali e di coscienza, i diritti dell’uguaglianza di genere, le libertà di credo e di parola, potrebbe farci pagare a caro prezzo la riconquista della democrazia.

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